Per tutti i pionieri della politica, l’opportunità
di protestare presto o tardi finisce.
Come accade a tutti quelli che fanno
promesse, specialmente dopo averle proposte a suon di slogan populisti, può
arrivare il momento di mantenerle.
Virginia Raggi è diventata sindaco di
Roma, una città difficile che oltre a trascinarsi da qualche decennio problemi
irrisolti, ha accumulato tanti di quei debiti da scoraggiare i fornitori a
fornire merci o eseguire prestazioni.
E’ arrivato il momento di spiegare
perché con la sua elezione hanno vinto i cittadini, e nel prendere le prime
decisioni ha commesso qualche errore; sono cose che capitano a chi governa, a
chi parla non capitano mai.
Beppe Grillo non l’ha lasciata sola
si è recato con prontezza a soccorrerla, ha raggiunto l’altra riva, quella in
cui anziché gridare i “Vaffa” ai propri avversari si sentono quelli gridati
dagli elettori delusi dai loro amministratori.
Virginia Raggi è anche mamma, considerando
che Grillo per l’età potrebbe essere suo padre, ricordando quando Grillo
chiamava Nonno Giorgio i presidente emerito qualcuno potrebbe rivolgersi a lui chiamandolo
nonno Beppe.
Grillo fa quello che può ma la
pressione mediatica non ha fatto bene a Virginia Raggi che ha avuto un malore,
si sarà chiesta se è valsa la pena salire in campidoglio o se era meglio
continuare ad esercitare la professione di avvocato.
Il problema più pressante per la
nostra amata capitale è il trasporto pubblico decisamente insufficiente. Per
avere un rapporto fra numero di abitanti e Km di metropolitana paragonabile a
quello delle capitali europee più organizzate i Km delle linee di Roma
dovrebbero raddoppiare.
I romani se lo aspettano da anni
specialmente quelli che non lavorano vicino a casa e sono costretti ad avere
tempi inaccettabili o costi di spostamento insostenibili per recarsi al lavoro per
non parlare dell’impatto sul traffico su strade consolari e tangenziali.
La scarsità di mezzi non preoccupa
Alessandro Di Battista a lui sono bastate le scarpette da corsa per realizzare
il suo tour a sostegno del reddito di cittadinanza.
A tutti piacerebbe avere la sicurezza
di un reddito ma questo non significa che l’Italia se lo possa permettere. La
Svizzera, con i conti pubblici a posto e un reddito medio più elevato rispetto
al nostro, ha deciso di non introdurlo.
Gli avversari del M5S sono convinti
che lo stratagemma del reddito di cittadinanza sia un espediente per procurare
ai militanti pentastellati un reddito di politicanza.
La caccia al reddito di politicanza,
è un fenomeno molto diffuso, e trasversale ai partiti.
Molti giovani con curriculum
interessanti, vuoi perché faticano a trovarsi un posto di lavoro vuoi per
premiare le proprie ambizioni, decidono di buttarsi in politica.
In Italia ci sono più possibilità
rispetto ad altri stati, se i partiti tradizionali non danno spazio in quattro
e quattr’otto nasce un nuovo partito.
Per essere ascoltati servono slogan
efficienti, soprattutto se i nuovi politici hanno poca esperienza. La poesia è
un valido aiuto, gli amici del M5S ne recitano essenzialmente due: “Reddito di
cittadinanza” e “Tutti gli altri a casa”.
Trovandosi sia fra i contestatori sia
fra i contestati molti militanti M5S hanno espresso il proprio disagio.
La Lega Nord ha percepito quel
disagio e ha invitato i disadattati a
entrare con umiltà nelle loro file.
Lo stato maggiore della Lega si
prodigherà a far loro dimenticare la poesia del reddito di cittadinanza
recitare quella dell’immigrazione clandestina.
Per “Tutti gli altri a casa” invece
il lavoro è più complesso, serve un accurato discernimento.
Che quelli di sinistra debbano andare
a casa tutti non ci piove, stesso discorso per i partiti che sostengono il
governo.
Per Fratelli d’Italia e Forza Italia
invece è meglio chiudere un occhio.
La Lega Nord intende premiare le
proprie ambizioni, non dispone di geni in matematica ma è riuscita a teorizzare
un’addizione innovativa: sommando due populisti si ottiene uno statista.
Ma c’è il modello Trump, il muro col
Messico; poco importa che il New York Times e il Washington Post aprano tutti i
giorni raccontando l’ultima di Trump; alla Lega il nuovo presidente piace
davvero.
A Milano i mezzi funzionano meglio
che a Roma, è più facile recarsi al lavoro, in tram in autobus o in
metropolitana.
Gli attivisti della Lega non corrono
come Di Battista, stanno alla fermata ad aspettare il Trump.
https://www.ibs.it/libri/autori/Moreno%20Mancini
https://www.ibs.it/libri/autori/Moreno%20Mancini
Nessun commento:
Posta un commento