sabato 25 febbraio 2017

Stare dall'altra parte

Per tutti i pionieri della politica, l’opportunità di protestare presto o tardi finisce.

Come accade a tutti quelli che fanno promesse, specialmente dopo averle proposte a suon di slogan populisti, può arrivare il momento di mantenerle.

Virginia Raggi è diventata sindaco di Roma, una città difficile che oltre a trascinarsi da qualche decennio problemi irrisolti, ha accumulato tanti di quei debiti da scoraggiare i fornitori a fornire merci o eseguire prestazioni.

E’ arrivato il momento di spiegare perché con la sua elezione hanno vinto i cittadini, e nel prendere le prime decisioni ha commesso qualche errore; sono cose che capitano a chi governa, a chi parla non capitano mai.

Beppe Grillo non l’ha lasciata sola si è recato con prontezza a soccorrerla, ha raggiunto l’altra riva, quella in cui anziché gridare i “Vaffa” ai propri avversari si sentono quelli gridati dagli elettori delusi dai loro amministratori.

Virginia Raggi è anche mamma, considerando che Grillo per l’età potrebbe essere suo padre, ricordando quando Grillo chiamava Nonno Giorgio i presidente emerito qualcuno potrebbe rivolgersi a lui chiamandolo nonno Beppe.

Grillo fa quello che può ma la pressione mediatica non ha fatto bene a Virginia Raggi che ha avuto un malore, si sarà chiesta se è valsa la pena salire in campidoglio o se era meglio continuare ad esercitare la professione di avvocato.

Il problema più pressante per la nostra amata capitale è il trasporto pubblico decisamente insufficiente. Per avere un rapporto fra numero di abitanti e Km di metropolitana paragonabile a quello delle capitali europee più organizzate i Km delle linee di Roma dovrebbero raddoppiare.

I romani se lo aspettano da anni specialmente quelli che non lavorano vicino a casa e sono costretti ad avere tempi inaccettabili o costi di spostamento insostenibili per recarsi al lavoro per non parlare dell’impatto sul traffico su strade consolari e tangenziali.

La scarsità di mezzi non preoccupa Alessandro Di Battista a lui sono bastate le scarpette da corsa per realizzare il suo tour a sostegno del reddito di cittadinanza.

A tutti piacerebbe avere la sicurezza di un reddito ma questo non significa che l’Italia se lo possa permettere. La Svizzera, con i conti pubblici a posto e un reddito medio più elevato rispetto al nostro, ha deciso di non introdurlo.

Gli avversari del M5S sono convinti che lo stratagemma del reddito di cittadinanza sia un espediente per procurare ai militanti pentastellati un reddito di politicanza.

La caccia al reddito di politicanza, è un fenomeno molto diffuso, e trasversale ai partiti.

Molti giovani con curriculum interessanti, vuoi perché faticano a trovarsi un posto di lavoro vuoi per premiare le proprie ambizioni, decidono di buttarsi in politica.

In Italia ci sono più possibilità rispetto ad altri stati, se i partiti tradizionali non danno spazio in quattro e quattr’otto nasce un nuovo partito.

Per essere ascoltati servono slogan efficienti, soprattutto se i nuovi politici hanno poca esperienza. La poesia è un valido aiuto, gli amici del M5S ne recitano essenzialmente due: “Reddito di cittadinanza” e “Tutti gli altri a casa”.

Trovandosi sia fra i contestatori sia fra i contestati molti militanti M5S hanno espresso il proprio disagio.

La Lega Nord ha percepito quel disagio e ha invitato i disadattati  a entrare con umiltà nelle loro file.

Lo stato maggiore della Lega si prodigherà a far loro dimenticare la poesia del reddito di cittadinanza recitare quella dell’immigrazione clandestina.  

Per “Tutti gli altri a casa” invece il lavoro è più complesso, serve un accurato discernimento.

Che quelli di sinistra debbano andare a casa tutti non ci piove, stesso discorso per i partiti che sostengono il governo.

Per Fratelli d’Italia e Forza Italia invece è meglio chiudere un occhio.
La Lega Nord intende premiare le proprie ambizioni, non dispone di geni in matematica ma è riuscita a teorizzare un’addizione innovativa: sommando due populisti si ottiene uno statista.

Ma c’è il modello Trump, il muro col Messico; poco importa che il New York Times e il Washington Post aprano tutti i giorni raccontando l’ultima di Trump; alla Lega il nuovo presidente piace davvero.

A Milano i mezzi funzionano meglio che a Roma, è più facile recarsi al lavoro, in tram in autobus o in metropolitana.


Gli attivisti della Lega non corrono come Di Battista, stanno alla fermata ad aspettare il Trump.

https://www.ibs.it/libri/autori/Moreno%20Mancini

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