mercoledì 25 ottobre 2017

Socialmente umiliati

Durante la puntata di Report di lunedì 23 ottobre c’è stata una riproposizione del dramma che affligge molte persone che trovano difficoltà a procurarsi un lavoro. 
Durante il servizio abbiamo visto decine di lavoratori, con titoli di studio importanti, adattati a eseguire lavori socialmente utili prevalentemente presso enti pubblici.
A parte l’enfasi giornalistica, nessuna legge impone a nessuna azienda pubblica o privata di garantire un’occupazione adeguata al titolo di studio conseguito.
Durante l’intervista di Bernardo Iovene abbiamo visto che sugli estratti conto Inps figuravano i periodi lavorativi ma non i contributi.  
Sembrerebbe una mancanza grave ma, di fatto, si tratta di scegliere quale dei due enti deve accollarsi un maggior debito.
Non è nemmeno certo che il mancato versamento debba essere dannoso, considerando l’entità dello stipendio corrisposto, difficilmente la presenza dei contributi consentirebbe al futuro pensionato di superare la pensione minima garantita.
Tutti i lavoratori e i loro responsabili hanno detto che il loro lavoro è necessario, speriamo che sia vero ma non possiamo essere certi che lo sia.  
Non ci sarebbe da meravigliarsi nello scoprire che certi lavori non servono.
Così come non farebbe meraviglia scoprire che chi è pagato per eseguire un lavoro lascia di proposito l’incombenza a questi personaggi, più fortunati rispetto a quelli che stanno a casa loro, senza guadagnare neanche un euro.
Lo spreco di tempo nel pubblico impiego in Italia è enorme.
Gli avvocati sanno che gli orari delle udienze sono sempre approssimativi.
Molti giudici abitualmente in ritardo si scusano educatamente, se non hanno in mano la borsa della spesa, sono credibili.
La moglie di un funzionario pubblico mi raccontò che più di una volta all’ora di pranzo il marito tornò a casa con un pesce appena pescato da lui, il colmo sarebbe che sulla barca ci sia stato anche un suo aiutante.
In molti i casi, soprattutto nel meridione ma anche al nord, il pubblico impiego è stato utilizzato come welfare.
Nel meridione, all’inizio del secolo scorso il pubblico impiego era nelle mani della borghesia dei grandi proprietari terrieri; che gestivano anche il potere politico.
Molti di costoro non digerirono l’unità d’Italia e l’avvicendamento dei Borboni con i Savoia.
Alcuni superstiti di quella borghesia si sono riciclati nei nuovi partiti e non si fanno scrupolo di procurare qualche problema al governo di Roma.
Il desiderio di secessione / autonomia dei leghisti è una delle conseguenze ma non è la peggiore.  
Il vero guaio è che gli imprenditori investono poco in Italia a causa del costo troppo elevato della spesa pubblica.

Il mancato sviluppo delle attività produttive impedisce a molte persone di trovare un lavoro vero, diverso da un umiliante assistenzialismo.

lunedì 23 ottobre 2017

Euforia referendaria

Questa volta la lega ha fatto il botto; la percentuale dei consensi è schiacciante. In Veneto l’affluenza è stata del sessanta percento, in Lombardia invece si è attestata intorno al quaranta percento.
Maroni però è euforico, potrà chiedere più denaro per la sua regione.  
I malavitosi del sud invece hanno incassato un colpo duro se vogliono mettere le mani sul denaro pubblico, devono imitare i loro colleghi che si sono specializzati nel corrompere i politici del nord.  
Non è chiaro invece cosa accadrà a quelli che occupano posti di lavoro inutili, creati per ottenere consenso elettorale. Saranno licenziati? Riqualificati? Sarebbe una buona idea destinarli a quei lavori utili per i quali alcuni imprenditori disonesti si servono di extracomunitari irregolari.
Per completare l’opera però i politici che hanno procurato loro quei posti di lavoro, dovrebbero sostituire i caporali.
Ovviamente il tutto deve avvenire con la consueta onestà che contraddistingue quella parte della nostra classe politica.
All’euforia referendaria non poteva mancare il contributo del Movimento a Cinque Stelle, che ha esaltato questo esempio di democrazia diretta.
Loro hanno bisogno che si voti spesso, è una buona occasione per parlare.
E’ risaputo che parlare è più facile che governare, non s’incorre nel rischio di essere giudicati incapaci e, se non si esagera, non si rischia nemmeno di essere indagati.
L’euforia leghista è in contrasto con un’affermazione di Salvini fatta propria anche da Renzi: “Aiutiamo gli extracomunitari a casa loro”.
Sapendo che in certi paesi dell’Africa il reddito medio della popolazione non supera i mille dollari annui, un simile slogan fa onore a chi lo proclama.
Realisticamente anche uno stupido capisce che non è possibile cambiare questa triste realtà dall’oggi al domani.
Allo stesso modo non si può pretendere che dall’oggi al domani il meridione d’Italia abbia lo stesso tasso d’industrializzazione del nord.
Raggiungere tali obiettivi richiede tempo e serve avere una lungimiranza e un’intelligenza non comuni.
Molti politici, sapendo di non avere le capacità necessarie, anche se non lo dicono apertamente fanno intendere di non capirci niente.
Il loro obiettivo è di entrare nella casta e devono convincere gli elettori di essere le persone giuste.
Tanti bravi giovani laureati con buona disposizione d’animo, lontani dalla politica che faticano a trovare un posto di lavoro, cosa possono dire?
“Beato chi non ci capisce niente”.


sabato 21 ottobre 2017

Il marchio elettorale

Improvvisarsi in politica non è facile, uno degli espedienti più efficaci per affermarsi è il ricorso al marchio elettorale.
Il marchio è il miglior sistema per attrarre il consenso e, in certi casi, vendere quello che non esiste.
Molti consumatori, scegliendo un prodotto, immaginano un’azienda storica amministrata con intelligenza, con stabilimento di produzione e apparato distributivo; per loro il marchio rappresenta tutto questo.
La verità è ben differente, spesso il marchio sopravvive ma l’azienda non esiste più.  Proprietari e dirigenti sono altre persone, possono essere migliori o peggiori, il marchio serve soltanto per attrarre il consumatore.
Anche la politica ha i suoi marchi.
In Italia, seppure superati dalla storia, fanno ancora presa sia il marchio fascista sia quello comunista.
Qualche settimana fa Alessandra Mussolini è apparsa in televisione tenendo fra le mani in quadro raffigurante suo nonno come per dire: “La nipote del duce sono io”.
Il fascio di nostalgici si è sfasciato, è nato Fratelli d’Italia e lei deve difendersi dalla concorrenza.
Come se non bastasse Di Maio e di Battista figli di un dirigente e di un consigliere del disciolto MSI, hanno aderito al Movimento A Cinque Stelle.
Bisogna riconoscere che hanno rispettato la gerarchia, il figlio del dirigente è più in alto rispetto al figlio del consigliere.
Di Maio si presenta come futuro premier in pectore, ha bacchettato i giornalisti avversari, non sarà bravo come il duce che soppresse la stampa avversa e controllava con la censura quella tollerata ma s’impegna molto per garantire un’informazione a cinque stelle.
Ha anche detto che i sindacati dovranno cambiare, non reintrodurrà la camera dei fasci e delle corporazioni ma l’idea di non consentire ai sindacati di sfidare il governo è simile a quella del duce; è però improbabile che mandi i “No Tav” a manganellare eventuali scontenti in sciopero.  
I duri del Movimento a cinque stelle vanno capiti (serve uno psicologo?) ma Chiara Appendino in occasione della manifestazione contro il G7 alla Venaria, ha espresso sostegno alle forze dell’ordine che hanno avuto qualche agente ferito negli scontri. 
Sul fronte comunista invece qualche nostalgico vorrebbe recuperare la vocazione rivoluzionaria (a parole). Sono in molti a non aver digerito l’inquinamento del PD da parte di una corrente cattolica.
Così in aggiunta a SEL è nato MDP, e se non ci sarà accordo fra alcuni personaggi autorevoli potrebbero nascere altri soggetti politici.
Gramsci, sapendo della disputa cruenta fra Stalin e Trotski dopo la morte di Lenin, sosteneva che era meglio un errore anche grave compiuto da un partito unito piuttosto che imboccare la via della divisione.
I nipoti di Gramsci vivono in Unione sovietica, la loro nonna era russa e tornò in patria quando il marito fu imprigionato per ordine dell’ex compagno socialista Benito Mussolini.
I nipoti di Gramsci sono molto meno conosciuti rispetto alla nipote del duce e non diranno mai ai nostalgici del comunismo di rispettare il pensiero del nonno che è stato il fondatore del partito.
I nostri politici per affermarsi si devono contendere i marchi in palio: nostalgia di destra e sinistra, paladini dell’ordine, patrioti, difensori dei lavoratori più svantaggiati, garanti della libertà d’impresa, teorici della superiorità di una razza o dell’appartenenza ad una religione.
Nessuno si presenta come scalatore sociale, arrivista, garante di corruzione e malaffare, agevolatore dell’evasione fiscale, ricattatore, faccendiere per favorire aziende amiche; tuttavia la politica non sembra incontaminata da questi fenomeni.
Non ce ne dobbiamo meravigliare più di tanto, succede in molti paesi e in molti partiti. Sarebbe più facile se i partiti durassero più a lungo sviluppando strumenti di controllo efficaci per difendersi da certi “Galantuomini”.

Chi trae benefici dal malaffare invece, è felice che i partiti siano indeboliti fino anche a sciogliersi; a loro interessa il marchio e il marchio sopravvive al partito.

mercoledì 11 ottobre 2017

Colpo di Stato

Più di una volta alcuni giornalisti hanno descritto la fine del governo Berlusconi come un “Colpo di stato” organizzato con la complicità delle massime autorità della nazione.
Altri giornalisti, invece accusano Berlusconi, di aver governato male e rischiato di rendere problematica la sostenibilità del debito pubblico.
Chi è fedele a Berlusconi appoggia la prima tesi, gli avversari preferiscono la seconda.
Coloro che non sono né alleati né contrari si domandano: è più corretto ritenere “Colpo di Stato” destituire un premier oppure operare in modo scellerato infischiandosene se poi lo Stato finisce in bancarotta.
Chi s’intende di economia e finanza non si pone la questione di come si chiama il leader, al contrario si auspica che chiunque governi abbia le capacità necessarie per contenere i costi e combattere l’evasione fiscale in modo che non si debba scegliere fra l’aumento delle tasse o il rischio di rendere insostenibile il debito pubblico.
Gli amici del Movimento A Cinque Stelle non entrano troppo in queste problematiche, preferiscono il filone mediatico giudiziario.
E’ una scelta più che lecita, è un loro sacrosanto diritto parlarne, fa aumentare la popolarità del relatore che s’improvvisa giudice per le indagini preliminari.
Sorge però il dubbio che non parlarne sia un espediente per mettere al riparo l’eventuale classe dirigente del loro partito qualora diventasse forza di governo.
Sono in molti a temere che gli amici del Movimento A Cinque Stelle, con l’intento di mantenere le promesse elettorali, facciano danni peggiori.
E’ inappropriato considerare l’azione di M5S un tentativo di colpo di stato?
Alcuni segnali purtroppo si vedono.
Una lobby di teatranti, attraverso la Grillo e Casaleggio associati, ha costruito un ascensore della celebrità portando alla ribalta nuovi personaggi che non vanno d’accordo con nessun appartenente ad altri partiti.
Considerando il caso esploso in questi giorni che vede come protagonista il produttore cinematografico Harvey Weinstein, la lobby ha tutte le ragioni di questo mondo per far sentire la propria voce.
I manovratori però hanno il potere di decidere chi portare in alto e chi spedire in cantina; può capitare che un Pizzarotti o una Cassimatis qualsiasi non recitino bene, ai manovratori non gliene importa un Fico e li scaricano.

Per salire in alto bisogna recitare bene la parte, i migliori vanno a recitare in parlamento.