Durante la puntata di Report di lunedì 23 ottobre c’è
stata una riproposizione del dramma che affligge molte persone che trovano
difficoltà a procurarsi un lavoro.
Durante il servizio abbiamo visto decine di lavoratori,
con titoli di studio importanti, adattati a eseguire lavori socialmente utili
prevalentemente presso enti pubblici.
A parte l’enfasi giornalistica, nessuna legge impone a
nessuna azienda pubblica o privata di garantire un’occupazione adeguata al
titolo di studio conseguito.
Durante l’intervista di Bernardo Iovene abbiamo visto che sugli
estratti conto Inps figuravano i periodi lavorativi ma non i contributi.
Sembrerebbe una mancanza grave ma, di fatto, si tratta di
scegliere quale dei due enti deve accollarsi un maggior debito.
Non è nemmeno certo che il mancato versamento debba essere
dannoso, considerando l’entità dello stipendio corrisposto, difficilmente la
presenza dei contributi consentirebbe al futuro pensionato di superare la
pensione minima garantita.
Tutti i lavoratori e i loro responsabili hanno detto che
il loro lavoro è necessario, speriamo che sia vero ma non possiamo essere certi
che lo sia.
Non ci sarebbe da meravigliarsi nello scoprire che certi
lavori non servono.
Così come non farebbe meraviglia scoprire che chi è pagato
per eseguire un lavoro lascia di proposito l’incombenza a questi personaggi, più
fortunati rispetto a quelli che stanno a casa loro, senza guadagnare neanche un
euro.
Lo spreco di tempo nel pubblico impiego in Italia è
enorme.
Gli avvocati sanno che gli orari delle udienze sono sempre
approssimativi.
Molti giudici abitualmente in ritardo si scusano
educatamente, se non hanno in mano la borsa della spesa, sono credibili.
La moglie di un funzionario pubblico mi raccontò che più
di una volta all’ora di pranzo il marito tornò a casa con un pesce appena
pescato da lui, il colmo sarebbe che sulla barca ci sia stato anche un suo
aiutante.
In molti i casi, soprattutto nel meridione ma anche al
nord, il pubblico impiego è stato utilizzato come welfare.
Nel meridione, all’inizio del secolo scorso il pubblico
impiego era nelle mani della borghesia dei grandi proprietari terrieri; che
gestivano anche il potere politico.
Molti di costoro non digerirono l’unità d’Italia e
l’avvicendamento dei Borboni con i Savoia.
Alcuni superstiti di quella borghesia si sono riciclati
nei nuovi partiti e non si fanno scrupolo di procurare qualche problema al
governo di Roma.
Il desiderio di secessione / autonomia dei leghisti è una
delle conseguenze ma non è la peggiore.
Il vero guaio è che gli imprenditori investono poco in
Italia a causa del costo troppo elevato della spesa pubblica.
Il mancato sviluppo delle attività produttive impedisce a
molte persone di trovare un lavoro vero, diverso da un umiliante
assistenzialismo.
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