sabato 21 ottobre 2017

Il marchio elettorale

Improvvisarsi in politica non è facile, uno degli espedienti più efficaci per affermarsi è il ricorso al marchio elettorale.
Il marchio è il miglior sistema per attrarre il consenso e, in certi casi, vendere quello che non esiste.
Molti consumatori, scegliendo un prodotto, immaginano un’azienda storica amministrata con intelligenza, con stabilimento di produzione e apparato distributivo; per loro il marchio rappresenta tutto questo.
La verità è ben differente, spesso il marchio sopravvive ma l’azienda non esiste più.  Proprietari e dirigenti sono altre persone, possono essere migliori o peggiori, il marchio serve soltanto per attrarre il consumatore.
Anche la politica ha i suoi marchi.
In Italia, seppure superati dalla storia, fanno ancora presa sia il marchio fascista sia quello comunista.
Qualche settimana fa Alessandra Mussolini è apparsa in televisione tenendo fra le mani in quadro raffigurante suo nonno come per dire: “La nipote del duce sono io”.
Il fascio di nostalgici si è sfasciato, è nato Fratelli d’Italia e lei deve difendersi dalla concorrenza.
Come se non bastasse Di Maio e di Battista figli di un dirigente e di un consigliere del disciolto MSI, hanno aderito al Movimento A Cinque Stelle.
Bisogna riconoscere che hanno rispettato la gerarchia, il figlio del dirigente è più in alto rispetto al figlio del consigliere.
Di Maio si presenta come futuro premier in pectore, ha bacchettato i giornalisti avversari, non sarà bravo come il duce che soppresse la stampa avversa e controllava con la censura quella tollerata ma s’impegna molto per garantire un’informazione a cinque stelle.
Ha anche detto che i sindacati dovranno cambiare, non reintrodurrà la camera dei fasci e delle corporazioni ma l’idea di non consentire ai sindacati di sfidare il governo è simile a quella del duce; è però improbabile che mandi i “No Tav” a manganellare eventuali scontenti in sciopero.  
I duri del Movimento a cinque stelle vanno capiti (serve uno psicologo?) ma Chiara Appendino in occasione della manifestazione contro il G7 alla Venaria, ha espresso sostegno alle forze dell’ordine che hanno avuto qualche agente ferito negli scontri. 
Sul fronte comunista invece qualche nostalgico vorrebbe recuperare la vocazione rivoluzionaria (a parole). Sono in molti a non aver digerito l’inquinamento del PD da parte di una corrente cattolica.
Così in aggiunta a SEL è nato MDP, e se non ci sarà accordo fra alcuni personaggi autorevoli potrebbero nascere altri soggetti politici.
Gramsci, sapendo della disputa cruenta fra Stalin e Trotski dopo la morte di Lenin, sosteneva che era meglio un errore anche grave compiuto da un partito unito piuttosto che imboccare la via della divisione.
I nipoti di Gramsci vivono in Unione sovietica, la loro nonna era russa e tornò in patria quando il marito fu imprigionato per ordine dell’ex compagno socialista Benito Mussolini.
I nipoti di Gramsci sono molto meno conosciuti rispetto alla nipote del duce e non diranno mai ai nostalgici del comunismo di rispettare il pensiero del nonno che è stato il fondatore del partito.
I nostri politici per affermarsi si devono contendere i marchi in palio: nostalgia di destra e sinistra, paladini dell’ordine, patrioti, difensori dei lavoratori più svantaggiati, garanti della libertà d’impresa, teorici della superiorità di una razza o dell’appartenenza ad una religione.
Nessuno si presenta come scalatore sociale, arrivista, garante di corruzione e malaffare, agevolatore dell’evasione fiscale, ricattatore, faccendiere per favorire aziende amiche; tuttavia la politica non sembra incontaminata da questi fenomeni.
Non ce ne dobbiamo meravigliare più di tanto, succede in molti paesi e in molti partiti. Sarebbe più facile se i partiti durassero più a lungo sviluppando strumenti di controllo efficaci per difendersi da certi “Galantuomini”.

Chi trae benefici dal malaffare invece, è felice che i partiti siano indeboliti fino anche a sciogliersi; a loro interessa il marchio e il marchio sopravvive al partito.

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