Improvvisarsi in politica non è
facile, uno degli espedienti più efficaci per affermarsi è il ricorso al
marchio elettorale.
Il marchio è il miglior sistema per attrarre
il consenso e, in certi casi, vendere quello che non esiste.
Molti consumatori, scegliendo un
prodotto, immaginano un’azienda storica amministrata con intelligenza, con
stabilimento di produzione e apparato distributivo; per loro il marchio
rappresenta tutto questo.
La verità è ben differente, spesso il
marchio sopravvive ma l’azienda non esiste più.
Proprietari e dirigenti sono altre persone, possono essere migliori o
peggiori, il marchio serve soltanto per attrarre il consumatore.
Anche la politica ha i suoi marchi.
In Italia, seppure superati dalla
storia, fanno ancora presa sia il marchio fascista sia quello comunista.
Qualche settimana fa Alessandra
Mussolini è apparsa in televisione tenendo fra le mani in quadro raffigurante suo nonno
come per dire: “La nipote del duce sono io”.
Il fascio di nostalgici si è
sfasciato, è nato Fratelli d’Italia e lei deve difendersi dalla concorrenza.
Come se non bastasse Di Maio e di
Battista figli di un dirigente e di un consigliere del disciolto MSI, hanno aderito
al Movimento A Cinque Stelle.
Bisogna riconoscere che hanno rispettato
la gerarchia, il figlio del dirigente è più in alto rispetto al figlio del
consigliere.
Di Maio si presenta come futuro
premier in pectore, ha bacchettato i giornalisti avversari, non sarà bravo come
il duce che soppresse la stampa avversa e controllava con la censura quella
tollerata ma s’impegna molto per garantire un’informazione a cinque stelle.
Ha anche detto che i sindacati
dovranno cambiare, non reintrodurrà la camera dei fasci e delle corporazioni ma
l’idea di non consentire ai sindacati di sfidare il governo è simile a quella
del duce; è però improbabile che mandi i “No Tav” a manganellare eventuali scontenti
in sciopero.
I duri del Movimento a cinque stelle vanno
capiti (serve uno psicologo?) ma Chiara Appendino in occasione della manifestazione
contro il G7 alla Venaria, ha espresso sostegno alle forze dell’ordine che
hanno avuto qualche agente ferito negli scontri.
Sul fronte comunista invece qualche
nostalgico vorrebbe recuperare la vocazione rivoluzionaria (a parole). Sono in
molti a non aver digerito l’inquinamento del PD da parte di una corrente
cattolica.
Così in aggiunta a SEL è nato MDP, e
se non ci sarà accordo fra alcuni personaggi autorevoli potrebbero nascere
altri soggetti politici.
Gramsci, sapendo della
disputa cruenta fra Stalin e Trotski dopo la morte di Lenin, sosteneva che era
meglio un errore anche grave compiuto da un partito unito piuttosto che
imboccare la via della divisione.
I nipoti di Gramsci vivono in Unione
sovietica, la loro nonna era russa e tornò in patria quando il marito fu
imprigionato per ordine dell’ex compagno socialista Benito Mussolini.
I nipoti di Gramsci sono molto meno
conosciuti rispetto alla nipote del duce e non diranno mai ai nostalgici del
comunismo di rispettare il pensiero del nonno che è stato il fondatore del
partito.
I nostri politici per affermarsi si
devono contendere i marchi in palio: nostalgia di destra e sinistra, paladini
dell’ordine, patrioti, difensori dei lavoratori più svantaggiati, garanti della
libertà d’impresa, teorici della superiorità di una razza o dell’appartenenza
ad una religione.
Nessuno si presenta come scalatore
sociale, arrivista, garante di corruzione e malaffare, agevolatore
dell’evasione fiscale, ricattatore, faccendiere per favorire aziende amiche; tuttavia
la politica non sembra incontaminata da questi fenomeni.
Non ce ne dobbiamo meravigliare più
di tanto, succede in molti paesi e in molti partiti. Sarebbe più facile se i
partiti durassero più a lungo sviluppando strumenti di controllo efficaci per
difendersi da certi “Galantuomini”.
Chi trae benefici dal malaffare
invece, è felice che i partiti siano indeboliti fino anche a sciogliersi; a
loro interessa il marchio e il marchio sopravvive al partito.
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