lunedì 30 aprile 2018

IN ATTESA DI SVILUPPI

Il tre percento del tempo che dovrebbe durare la nuova legislatura è passato, senza che nessuna fumata bianca abbia celebrato la nascita di un nuovo governo.
Per gli elettori non cambia molto, il governo uscente è in carica per l’ordinaria amministrazione, le competenze dei pubblici dipendenti in questo momento sono preziose: nessuno di loro corre il rischio di essere redarguito per aver sconfessato gli slogan preelettorali.
La pubblica amministrazione non è perfetta, c’è una consistente presenza di raccomandati e furbetti del cartellino; così come fra i parlamentari ci sono i furbetti del cadreghino che minano l’efficienza della nostra classe politica, facendo credere di risolvere i problemi del paese ma risolvendo soltanto i propri.
Durante l’ordinaria amministrazione, quei brillanti comunicatori abili a proclamare come spendere i soldi senza spiegare da dove li prendevano non rischiano di danneggiare il sistema Italia facendo saltare il banco.
Fra politica e pubblica amministrazione c’è una certa simbiosi, i politici utilizzano la competenza dei pubblici dipendenti e non dimenticano che, per numero di voti, i pubblici dipendenti rappresentano un bacino d’utenza paragonabile a quello dei grandi partiti.
Durante la cosiddetta “prima repubblica” l’attività legislativa ha risentito negativamente di quella simbiosi promulgando diverse leggi sbagliate.
E’ vivo il ricordo di quella canzone del povero De Andrè che raccontava di quel tale che aveva sostenuto invano cinquanta concorsi novanta domande duecento ricorsi; nel proseguire della canzone poi il fratello carceriere si rivolgerà al malavitoso Don Raffaè per fargli avere un lavoro nella delinquenza organizzata.
Gestire la relazione fra Stato e pubblici dipendenti è il compito più importante e delicato di politici e dirigenti pubblici, specialmente in un momento in cui le entrate tributarie sono in diminuzione a causa della delocalizzazione di molte attività produttive.

Diversi leader o presunti tali, evitano di parlarne per non impegnarsi in un lavoro molto più difficile rispetto a quello di recitare uno slogan davanti a un microfono.

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