In un parlamento che ha raggiunto il
massimo grado di divisione della storia repubblicana, il Presidente cerca qualche
asso.
I nostri partiti, seppure in modo più
disomogeneo rispetto a un mazzo di carte, hanno al loro interno assi figure e
scartine.
L’unico guaio per gli italiani è che
i programmi sono talmente alternativi da rendere difficile un accordo.
Neppure ai tempi dell’eversione nera
e delle brigate rosse c’era una simile divisione.
Gli amici di M5S hanno sperato in uno
smarcamento della Lega da Forza Italia ma non ci sono le condizioni.
Un accordo che includa anche FI avrebbe
una maggioranza numericamente importante ma M5S finirebbe per accettare la flat
tax e perderebbe il consenso di quegli elettori che hanno lasciato la sinistra
ma che non sono abbastanza sprovveduti per non accorgersi che la flat tax
favorisce i ricchi a danno di poveri e ceto medio.
L’alternativa sarebbe cercare un
accordo con la sinistra ma anche questa strada sembra poco praticabile.
Nel 2009, Grillo si era
candidato a segretario ma il PD respinse la sua candidatura.
Frammentare ulteriormente la sinistra,
rinunciando a quel meccanismo che subordina le decisioni al consenso interno,
significherebbe snaturarne ulteriormente storia e tradizione.
Le decisioni prese dietro un mandato
elettivo all’interno del partito sono un laboratorio di democrazia.
In questo scenario, quel che resta della
sinistra se ne sta rintanato all’opposizione; forse aspetta che le
contraddizioni delle formazioni avversarie emergano in modo eclatante per
poterne trarre vantaggio in una eventuale prossima tornata elettorale.
Per M5S uno dei primi banchi di prova
coinciderà con la prossima tornata elettorale che potrebbe non essere neanche
troppo lontana.
M5S ha la regola dei due mandati
elettivi pertanto, se le regole non verranno cambiate, personaggi importanti
come Fico e Di Maio non dovrebbero più candidarsi.
Cosa faranno? Utilizzeranno la loro
fama per riciclarsi nel pubblico impiego con un adeguato compenso o si
comporteranno come cantava Edoardo Bennato in quella bella canzone del 1980 che
diceva: “Non potrò mai diventar direttore general delle poste e delle ferrovie
non potrò mai far carriera nel giornale della sera anche perché finirei in
galera! Mai nessuno mi darà il suo voto per parlare o per decidere del suo
futuro.”
Gli elettori intanto aspettano
fiduciosi che quel consenso attribuito con enfasi o estorto con furbizia si
trasformi in qualcosa di utile.
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